Analisi sul mercato dell’olio: Italia seconda superata dalla Spagna
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Secondi per produzione ma al primo posto per consumo globale, anche se solo terzi in termini di quantità pro-capite. L’olio d’oliva, noto come l’oro “verde”, è un settore di punta del made in Italy, ma il nostro paese si trova a fronteggiare una forte concorrenza, soprattutto mediterranea, che rende difficile mantenere le quote di mercato nei mercati di sbocco tradizionali.
A sottolineare l’importanza dell’industria olearia italiana, un nuovo studio di Mediobanca analizza in dettaglio le caratteristiche, le prospettive e i principali competitor dell’olio d’oliva italiano. Il nostro paese è il secondo produttore, superato solo dalla Spagna, e secondo esportatore con 338mila tonnellate nel 2023. Siamo anche i primi consumatori, con 415mila tonnellate previste per il 2023-24, e importatori, con 510mila tonnellate nel 2023. Nonostante ciò, il consumo pro-capite ci vede al terzo posto, con Spagna e Grecia che consumano rispettivamente 7,5 kg di olio d’oliva pro-capite all’anno, rispetto ai nostri 7,1 kg. Una differenza rilevante con il nostro principale concorrente risiede nel fatto che in Spagna il settore dell’olio d’oliva è una vera e propria industria, capace di generare reddito e sinergie con la distribuzione e il retail. In Italia, al contrario, si registra un alto tasso di abbandono dei terreni e una mancanza di strategia unitaria, con molti produttori ancora legati a metodi tradizionali non aggiornati.
La Spagna domina la produzione, con 766mila tonnellate, mentre l’Italia segue con 289mila tonnellate, davanti a Turchia, Tunisia, Grecia, Portogallo e Marocco. La Spagna beneficia di politiche decennali che hanno trasformato il settore. Negli anni Ottanta, come riporta Mediobanca, il paese ha visto ingenti investimenti nell’olivicoltura, finanziati in gran parte dall’UE, che hanno portato a una meccanizzazione della raccolta, alla creazione di grandi consorzi di produttori e a un numero limitato di frantoi industriali. Il risultato è stato un aumento vertiginoso della produzione: dalle 338mila tonnellate del 1995-96, la Spagna è passata a 1,077 milioni in soli due anni, e a 1,411 milioni nel 2001-02, contribuendo al rilancio economico di regioni depresse come l’Andalusia e l’Estremadura.
Nonostante l’Italia mantenga una buona posizione nei mercati nordamericani, la struttura produttiva è ben diversa da quella spagnola. In Italia, la produzione di olio è frammentata tra oltre 4.300 frantoi distribuiti su 1,1 milioni di ettari, con una media di 1,8 ettari per azienda. Dal 2010, il numero di frantoi è diminuito di oltre il 30%, con un calo concentrato soprattutto nel Centro-Sud e in Liguria, mentre le regioni del Nord hanno visto un aumento, tranne il Veneto. La Puglia è la regione leader nella produzione di olio d’oliva, con il 59,3% della produzione nazionale, seguita da Sicilia e Calabria. Tuttavia, se confrontati con i frantoi spagnoli, quelli italiani, anche i più grandi, appaiono piccoli: in Spagna, i frantoi producono in media 460 tonnellate l’uno, con picchi di 750 tonnellate negli ultimi 9 anni, rendendoli circa 17 volte più produttivi di quelli italiani.
Nel 2023, l’Italia ha esportato quasi 325mila tonnellate di olio d’oliva, concentrando il 50% delle esportazioni in tre paesi: Stati Uniti, Germania e Spagna. Il valore delle esportazioni dipende dal prezzo medio, in aumento negli ultimi anni. Gli Stati Uniti rappresentano il principale mercato, seguiti da Germania, Francia, Spagna e Giappone. Tuttavia, il saldo commerciale è negativo: importiamo più olio di quanto ne esportiamo, e lo scambio con la Spagna è emblematico, esportiamo 34mila tonnellate ma ne importiamo 182mila, con una differenza di prezzo significativa.
Infine, il prezzo dell’olio d’oliva ha visto un’impennata negli ultimi anni, nonostante i costi di produzione siano rimasti stabili. Nel periodo 2022-2023, le vendite di olio nella grande distribuzione sono aumentate del 16,7% in valore, nonostante un calo del 9,1% nei volumi, grazie a un aumento del prezzo medio del 28,6%. Le cause principali di questo aumento sono legate alla siccità, che ha ridotto l’offerta globale, portando i prezzi ai massimi storici. È difficile prevedere una riduzione dei prezzi a breve termine, sia per la variabilità della produzione sia per l’aumento della domanda e le chiusure di alcuni mercati mediterranei. L’olio d’oliva rimane quindi un prodotto di nicchia.